La cisti odontogena dentigera del mascellare è una cavità patologica contenente fluido, rivestita da epitelio e circondata da una parete connettivale ben definita, associata alla corona di uno o più elementi dentari. La terapia prevede l’asportazione chirurgica, con eventuale estrazione dell’elemento dentario coinvolto, ovvero la marsupializzazione. Materiali e metodi: Riportiamo una lesione cistica in un paziente pediatrico in dentizione mista, che coinvolge la radice di un elemento deciduo e la corona del corrispondente elemento permanente incluso, trattato con marsupializzazione della neoformazione. Risultati: Il follow-up a due anni dimostra la completa scomparsa della neoformazione con corretta eruzione del dente permanente, senza alcun ausilio ortodontico. Conclusioni: In presenza di una lesione cistica che coinvolge la corona di un elemento permanente in un paziente in età pediatrica, la marsupializzazione rappresenta la terapia elettiva al fine di conservare l’elemento permanente, prevenendo una serie di problematiche di sviluppo oltre che di ordine ortodontico.

CLINICAL IMPLICATIONS
La cisti dentigera viene generalmente trattata con l’enucleazione della neoformazione e l’estrazione dell’elemento dentario a essa associato; tuttavia, in un paziente in età pediatrica in dentizione mista, in presenza di una lesione che coinvolge un elemento dentario permanente il trattamento di elezione è rappresentato dalla marsupializzazione che, decomprimendo la neoformazione, ne determina il riassorbimento e fa sì che il dente a esso associato possa sfruttare al meglio la propria vis eruttiva e allinearsi correttamente in arcata.

INTRODUZIONE
La cisti dentigera, o follicolare, è una lesione odontogena associata alla corona di un dente incluso, ritenuto o in via di sviluppo. Generalmente si tratta di un terzo molare o di un premolare, anche se in letteratura sono stati segnalati alcuni casi che coinvolgono denti decidui; talvolta può essere associata a un dente sovrannumerario o a un odontoma [1] . È la seconda più frequente tra le cisti odontogene, rappresentando il 14-24% fra tutte le cisti mascellari, ed è la più frequente tra le lesioni non infi ammatorie dei mascellari [2] . Deriva dall’epitelio ridotto dello smalto che circonda la corona di un dente non erotto; poco si sa circa il meccanismo che porta alla separazione dell’epitelio ridotto dello smalto dalla superfi cie del dente, permettendo così l’accumulo di fl uidi fra le due strutture. Indipendentemente dalle dimensioni della neoformazione, la parete epiteliale della cisti resta ancorata alla giunzione amelo-cementizia del dente coinvolto, per cui la corona rimane all’interno del lume della cisti, mentre la radice resta all’esterno [1–3] . Dal punto di vista clinico, la cisti dentigera presenta un periodo di latenza, caratterizzato da un lento accrescimento e dalla completa mancanza di sintomi, fatta eccezione per la mancanza in arcata dell’elemento dentario a essa associato. Successivamente si ha la fase della deformazione ossea, durante la quale le cisti di notevoli dimensioni sono in grado di determinare un riassorbimento da compressione della corticale ossea e sollevano i tessuti molli; queste cisti possono provocare dislocazioni o blocco dell’eruzione dei denti adiacenti. Se la cisti va incontro a infezione secondaria i sintomi saranno del tutto simili a quelli di un ascesso, con tanto di dolore ed esacerbazione del rigonfi amento [4] . È più frequente nei maschi e la sua incidenza aumenta con l’età. Di solito viene diagnosticata in seguito a un esame ortopantomografico di routine, apparendo come un’area di radiotrasparenza ben circoscritta che circonda la corona di un dente non erotto. Alla periferia compare un orletto sclerotico ben evidente, a testimoniare il lento accrescimento della neoformazione. Dal punto di vista istologico, la parete cistica è rivestita da un epitelio squamoso non cheratinizzato piuttosto uniforme, disposto su 2-10 strati [5,6] . La terapia di queste lesioni può essere di tipo conservativo, marsupializzando la neoformazione (vale a dire rendendo la cavità cistica una continuazione del cavo orale), ovvero di tipo demolitivo, asportando in toto la neoformazione seguendone il piano di clivaggio fi broconnettivale, insieme all’elemento dentario o agli elementi dentari coinvolti [7] . Questo lavoro illustra un approccio minimamente invasivo per la risoluzione di una cisti dentigera mandibolare in un paziente pediatrico in dentizione mista. Vengono inoltre analizzate le indicazioni, i vantaggi e i limiti della tecnica impiegata.


Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5
Fig. 6

Materiali e metodi Presentazione del caso
Un bambino di nove anni, in ottima salute generale, viene portato dai genitori alla nostra attenzione in quanto presentava un lieve rigonfiamento in regione premolare mandibolare destra (sestante VI). All’esame obiettivo il piccolo paziente, in dentizione mista, presentava numerose carie destruenti degli elementi decidui ed era inoltre evidente la tumefazione vestibolare all’elemento 8.5, che mostrava una vasta lesione cariosa e alla palpazione presentava il crepitio del guscio d’uovo, caratteristico delle lesioni cistiche (fig. 1). All’esame ortopantomografico (fig. 2) si apprezzava una lesione osteolitica, a margini netti, in corrispondenza dell’apice radicolare dell’elemento 8.5. La lesione aveva un diametro di circa 2 cm e si estendeva dalla radice di 4.4 alla radice mesiale di 4.6; al suo interno inglobava la corona di 4.5, a sua volta dislocato al di sotto dell’apice ancora beante di 4.4. L’elemento 4.5 appariva inoltre distoverso. Vista la giovane età del paziente e, soprattutto, il coinvolgimento della gemma di un elemento permanente, abbiamo optato per un intervento conservativo come la marsupializzazione della neoformazione. Descrizione del metodo Previa acquisizione del consenso informato e scritto al trattamento da parte del papà del giovane, al bambino è stato somministrato per os 1 grammo di amoxicillina + acido clavulanico un’ora prima dell’intervento e ne è stata prescritta la successiva assunzione di 0,5 grammi ogni 12 ore per i cinque giorni successivi. Sono stati inoltre prescritti sciacqui con clorexidina 0,2% per 1 minuto, due volte al giorno, per i 14 giorni successivi. Dopo aver eseguito anestesia plessica per infiltrazione con articaina cloridrato 4% con adrenalina 1:100.000 nel sesto sestante, con monitoraggio costante delle funzioni vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca e SpO2), si è proceduto a sindesmotomia ed estrazione dell’elemento 8.5. Sul fondo dell’alveolo si apprezzava il tetto della neoformazione cistica, che era rimasto illeso (fig. 3); quindi, per mezzo di un bisturi inserito all’interno dell’alveolo abbiamo provveduto a eseguire biopsia incisionale della parete della neoformazione e a suturarne le pareti a quelle dell’alveolo per mezzo di filo di acido poliglicolico riassorbibile 5/0, assicurando così il drenaggio del contenuto cistico attraverso questo tramite neoformato. Per evitare che il drenaggio si richiudesse, all’interno della cavità neoformata è stata zaffata della garza iodoformica (fig. 4), che è stata poi sostituita in decima e rimossa in ventesima giornata (fig. 5). Gli autori dichiarano che lo studio presentato è stato realizzato in accordo con gli standard etici stabiliti nella Dichiarazione di Helsinki e che il consenso informato è stato ottenuto da tutti i partecipanti prima del loro arruolamento allo studio.


Fig. 7

Fig. 8

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 11

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Risultati
L’esame istologico del frammento di parete prelevato ha confermato il sospetto diagnostico di cisti dentigera senza segni di metaplasia, evidenziando la presenza di un sottile strato fibroso, con modesto infiltrato infiammatorio, rivestito da epitelio squamoso non cheratinizzato disposto su 2-3 strati cellulari, con isole di epitelio odontogeno (fig. 6). Sono stati eseguiti controlli clinici a 1, 6, 12 e 24 mesi e radiografici a 1, 12 e 24 mesi dall’intervento. Già 30 giorni dopo l’intervento, la corona dell’elemento 4.5 faceva la sua comparsa sul fondo dell’alveolo di 8.5 e anche radiograficamente era possibile apprezzarne la migrazione verso la sua sede naturale (figg. 7-9). Due anni dopo l’intervento, l’elemento 4.5 appariva completamente e correttamente erotto, perfettamente allineato nelle tre direzioni dello spazio con gli altri elementi dentari, senza bisogno di alcun sussidio ortodontico (figg. 10 e 11). Anche radiograficamente la lesione risultava completamente scomparsa e la trabecolatura ossea ripristinata (fig. 12).

Discussione
Il trattamento delle cisti dentigere mira alla completa eliminazione della patologia e alla conservazione degli elementi dentari coinvolti per mezzo di un intervento chirurgico minimamente invasivo [8,9]. I criteri di selezione di questo approccio terapeutico fanno riferimento alla dimensione della cisti, alla sua localizzazione, all’età del paziente, allo stadio evolutivo del/i dente/i coinvolto/i, alla sua posizione nelle ossa mascellari e infine ai rapporti del dente con le strutture anatomiche adiacenti, compresi i denti [10]. Il trattamento chirurgico di una cisti dentigera di solito comporta l’enucleazione in toto della lesione e l’estrazione del dente a essa associato. Un tale approccio, però, trova giustificazione in caso di coinvolgimento, ad esempio, di un dente del giudizio in un adulto, che non ha alcuna funzione, e in ogni caso non rappresenta sempre la migliore soluzione per il paziente. In particolare, in un paziente in età pediatrica, l’estrazione del dente associato alla lesione potrebbe avere conseguenze funzionali, estetiche e psicologiche. Per questo motivo abbiamo optato per un trattamento conservativo, che ha previsto l’estrazione del dente deciduo cariato e la biopsia incisionale della parete della neoformazione, indispensabile per eseguire l’esame istologico e confermare il sospetto diagnostico. Molti autori hanno enfatizzato l’importanza di mantenere la pervietà della comunicazione tra la cisti e la cavità orale, non solo per permettere la guarigione della cisti, ma anche per prevenire la formazione di un tappo fibroso in grado di ostacolare l’eruzione del dente permanente. Tuttavia, in questo caso la comunicazione tra il cavo cistico e quello orale è stata mantenuta solo per tre settimane. Ciò avvalora l’ipotesi che la semplice decompressione della cisti e l’ulteriore sviluppo della radice consentirebbero il riposizionamento spontaneo dell’elemento associato [11–13]. Al termine del trattamento, come dimostrato dall’esame ortopantomografico e periapicale iuxtagengivale, abbiamo ottenuto la completa guarigione della lesione cistica, con riempimento della cavità cistica con osso che presentava una normale trabecolatura [5,6].

Conclusioni
Dall’analisi di questo caso clinico e della letteratura a nostra disposizione possiamo affermare che le cisti dentigere nei pazienti in età pediatrica in dentizione mista, anche se di notevoli dimensioni, possono essere trattate in maniera minimamente invasiva per mezzo di marsupializzazione; in questo modo è possibile preservare la funzione e l’estetica, evitando al piccolo paziente un trauma psicosociale dovuto alla perdita del dente. Le capacità rigenerative dell’osso sono superiori nei giovani pazienti rispetto agli adulti e i denti con apici beanti presentano un elevato potenziale eruttivo. È per questo motivo che nei bambini un trattamento chirurgico di tipo conservativo andrebbe sempre preso in considerazione; tale terapia andrebbe iniziata quando l’elemento dentario coinvolto presenta, all’esame radiografico, una radice formata per 1/2 o 2/3 con apice beante. Infine, l’ortopantomografia rappresenta l’esame diagnostico per immagini necessario e sufficiente per permettere una buona visualizzazione della neoformazione e dei denti coinvolti e il loro successivo follow-up.

Bibliografia
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